Distributori di acqua potabile: lo sapevate che...

Distributori di acqua potabile: lo sapevate che...

 

 

Negli ultimi anni in numerose città italiane si stanno diffondendo distributori di acqua potabile trattata con sistemi diversi (le cosiddette “casette dell’acqua”)

, dove il cittadino può rifornirsi direttamente, utilizzando contenitori propri (elenco – non esaustivo – delle installazioni è stato già fornito al Ministero della Salute). La somministrazione normalmente avviene in luoghi all’aperto facilmente accessibili quali parchi, giardini pubblici, ecc. In alcuni casi, l’acqua potabile trattata viene erogata dopo un ulteriore trattamento di addizione di anidride carbonica, allo scopo di renderla frizzante. Il cittadino che si approvvigiona dell’acqua erogata dalle “casette” paga un prezzo convenzionale.

Questi veri e propri “impianti di trattamento di acqua potabile” sono generalmente costituiti da un punto di presa dell’acqua (di solito posizionato sotto una copertura), mediante il quale la “casetta” viene alimentata dall’acqua destinata al consumo umano fornita dall’acquedotto di zona. Si tratta quindi di acqua già di per se potabile, sottoposta a trattamenti ulteriori all’interno della casetta. Questi ulteriori trattamenti consistono in genere di:

1.         filtrazione, atta a rimuovere eventuali particelle presenti o materiale in sospensione;

2.         trattamento a carboni attivi, al fine di rimuovere il “disinfettante residuo” presente se utilizzato dall’acquedotto e previsto dal DLgs 31/2001.

Sorgono alcune perplessità di diverso ordine circa la garanzia della sicurezza del consumatore.

Innanzitutto ci sono alcuni aspetti di sicurezza igienico-sanitaria a tutela della salute del cittadino che dovrebbero essere verificati e approfonditi:

- appropriatezza e sussistenza delle condizioni igieniche indispensabili del sito di erogazione ed anche pianificazione dell’attività di manutenzione e pulizia; risulta, infatti, che dopo qualche tempo, questi distributori non vengano adeguatamente puliti.

- Essendo l’acqua potabile processata attraverso un trattamento, ci si chiede se tale tipologia di impianto sia stata approvata dal  Ministero della Salute come previsto dal Regolamento n. 443/1990, e sia sottoposta ad un piano di verifiche e manutenzione periodico e che tale piano venga effettivamente posto in essere con verifica  delle autorità competenti

- Essendo il distributore di acqua trattata assimilabile ad un impianto di tipo alimentare, ci si chiede se tali “casette dell’acqua” abbiano predisposto un regolamento igienico, un piano di gestione HACCP, un piano di controllo analitico interno e che tale esercizio di erogazione sia stato denunciato alle ASL competenti per poter effettuare i controlli ufficiali a tutela della cittadinanza

- Nel caso dell’erogazione dell’acqua frizzante, ci si chiede se l’anidride carbonica utilizzata abbia i requisiti di additivo alimentare come previsto dalla legge;

- Dovrebbero inoltre essere sottoposti a verifica di compatibilità tutti i materiali costituenti la “casetta” e destinati al contatto con l’acqua: per tali materiali, infatti, è in vigore una normativa specifica.

 

Tutti questi aspetti igienico-sanitari rivestono grandissima importanza per la sicurezza alimentare del cittadino, in quanto:

1. se nell’acqua potabile di approvvigionamento della “casetta” è presente disinfettante residuo, il trattamento lo rimuove. L’addizione di disinfettante all’acqua distribuita per il consumo umano serve a garantirne la qualità microbiologica lungo le condutture fino alle nostre case, dove l’acqua viene consumata “appena spillata dal rubinetto”: l’acqua dell’acquedotto, infatti, non è prodotta per essere conservata. Di conseguenza, l’acqua erogata dalle casette sarà comunque priva di disinfettante residuo (sia se utilizzato che se non utilizzato dall’acquedotto), e quindi ancor di più non dovrà essere conservata ma consumata “fresca”. Il consumatore, al contrario, si approvvigiona di numerosi litri e li conserva a casa.

2. Se a queste considerazioni aggiungiamo la possibilità che la gestione igienica del sistema non sia ottimale (pulizia, manutenzioni e disinfezioni periodiche, verifica dello stato di intasamento dei filtri, sostituzione dei filtri esauriti e del materiale usurato, etc etc) e che il consumatore utilizzi contenitori propri non perfettamente puliti, il rischio sanitario è concreto: l’acqua prelevata dal consumatore, se inizialmente contaminata anche lievemente, nel periodo successivo al prelievo (conservazione domestica) presenterà una crescita esponenziale del numero dei microrganismi presenti, esponendo chi la beve a un rischio non accettabile.

Come ultimo quesito (ma non per importanza), ci si chiede perché l’acqua potabile, garantita dal gestore, controllata dalle Autorità sanitarie pubbliche, debba essere sottoposta a questo tipo di trattamento: in altre parole, perché un’acqua se è già potabile deve essere ulteriormente trattata? E in questo ultimo caso, chi, nei confronti del cittadino, ne diventa il responsabile ai sensi del D.Lgs 31/2001 e in caso di problematiche di salute pubblica? Il Sindaco del Comune di competenza (che in tal caso dovrebbe aver approvato l’installazione dopo tutte le verifiche previste) o altra figura non ben identificata?

Ancora due osservazioni:

· -la parola oligominerale è usata impropriamente infatti il termine Oligominerale è una classificazione chimica  prevista per le acque minerali naturali e non per le acque potabili nelle quali infatti non si ricerca la mineralizzazione  ed il termine oligominerale potrebbe essere fuorviante per il consumatore finale che potrebbe pensare di bere un acqua minerale naturale.

Le acque minerali naturali ed acque potabili non sono la stessa cosa ( esistono infatti due diverse normative di riferimento)

· -nei depliant si fa riferimento a solo alcune caratteristiche chimiche , ma che dire di tutte quelle sostanze indesiderabili delle quali non si fa menzione ?

 
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